Recensione del romanzo Il gatto che voleva salvare i libri di Sosuke Nastsukawa, una favola moderna sulla potenza dei libri, dell’immaginazione e dell’amore.

Attraverso elementi fantasy e una serie di prove che deve affrontare il giovane protagonista, l’autore pare tracciare un quadro nitido e sconsolato su come funzioni l’editoria mondiale contemporanea.

Alla fine, ci si chiede chi debba salvare i libri: noi o il gatto?

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Titolo: Il gatto che voleva salvare i libri (orig. Hon O Mamoroutosuru Neko No Hanashi)

Autore: Sosuke Natsukawa

Traduttore: Bruno Forzan

Editore: Mondadori

Collana: Oscar Fantastica

Genere: Narrativa contemporanea

Anno di Edizione: 2022 (prima pub. 2020)

Pagine: 224 pp., Brossura

ISBN: 9788804756552

Voto: 📕📕📕/5

Trama de Il gatto che voleva salvare i libri di Sosuke Natsukawa

Natsuki Rintaro è un hikikomori che vive con il nonno all’interno della libreria di famiglia, un gioiello nella città giapponese in quanto possiede titoli che in giro si fa sempre più fatica trovare. Si parla soprattutto di classici occidentali, opere dal valore inestimabile che risalgono a secoli fa.

Quando il nonno muore, però, Rintaro si chiude in sé stesso, rifiutandosi di andare a scuola, in attesa che una zia sconosciuta si prenda cura di lui, portandolo in tutt’altro luogo.

Sarà proprio in una di queste grigie giornate che comparirà nella sua libreria un gatto tricolore, che con tono tagliente e senza troppe cerimonie lo invita a superare delle prove per salvare dei libri.

Parere Personale

Il romanzo Il gatto che voleva salvare i libri è un fantasy che presenta l’inconfondibile stile giapponese: sempre con un’aura onirica e descrizioni che vanno ben oltre la prima chiave di lettura.

Gli stessi personaggi sono stereotipati, più che i guardiani dei labirinti: Rintaro è il protagonista introverso e insicuro, che si chiude a riccio nella sua incertezza e sofferenza dopo la morte del nonno. Non è cosciente delle proprie capacità personali e si sente opprimere dalla solitudine all’interno della libreria.

Sayo è la rappresentante di classe che si preoccupa per la sua salute mentale, andandolo a trovare con la scusa di dovergli portare i compiti e assicurarsi che ritorni a scuola. È schietta, diretta e non ha paura di dire ciò che pensa, anche a costo di ferire, ma è chiaro che sotto la corazza nasconde una spiccata sensibilità.

Akiba è un amico di Rintaro, il suo opposto, il classico adolescente dal carattere solare e scherzoso, capace di attirare l’attenzione di chiunque, soprattutto delle ragazze adoranti, anche a causa della sua avvenenza. Ama stuzzicare Rintaro con le sue battute pungenti, per spingerlo ad uscire dal suo guscio di timidezza.

Infine, c’è il nonno del protagonista, un uomo saggio e mite, che ha cresciuto Rintaro come se fosse suo figlio, trasmettendogli il profondo amore per la lettura, pur ricordandogli che si tratta di un hobby che va coltivato nella giusta misura.

“Non saranno i libri a percorrere la vita al posto tuo. Un avido lettore che si dimentica di camminare con le proprie gambe diventerà solo il voluminoso dizionario di un sapere obsoleto. Niente di più che un pezzo di antiquariato che non servirà a nulla, a meno che qualcuno non lo apra.”

Un altro elemento ricorrente nei fantasy giapponesi è la presenza di un guardiano che spinge il protagonista ad uscire dalla sua comfort zone, esplorare le proprie capacità, maturare e avere il coraggio di affrontare le difficoltà della vita, avendo il sostegno dei propri amici.

In questo caso parliamo del gatto Tora, che fin da subito entra in conflitto con Rintaro a causa dei suoi modi bruschi e della sua schiettezza. La loro incapacità di andare totalmente d’accordo causa inevitabilmente situazioni divertenti che alleggeriscono la narrazione.

I labirinti – Possibili spoiler da qui in avanti!

La storia è una sorta di favola moderna dove il protagonista viene chiamato ad affrontare tre prove per salvare ciò che ama, ovvero i libri, sotto la guida di Tora, la creatura fantasy che lo aiuterà a raggiungere la completa maturazione.

È chiaro fin da subito che ogni labirinto rappresenta una critica non troppo velata su quanto sta succedendo nell’editoria contemporanea.

Nel primo caso, infatti, abbiamo un uomo che si vanta di leggere un numero spropositato di libri in un anno, tanto da essere considerato un divo nel suo mondo, con interviste e ospitate televisive.

Probabilmente il riferimento è all’apparenza: il libri sono diventati uno status sociale, uno strumento per sentirsi migliori e superiori agli altri. Non si legge per il gusto di farlo, ma per per ostentarlo, come le inevitabili classifiche di fine anno che fioccano nei gruppi dei lettori, oppure chi si vanta di leggere solo classici, perché l’editoria contemporanea è spazzatura.

E non sto parlando delle reading challenge, sia chiaro, perché stabilirsi degli obiettivi di lettura è un modo per spronare sé stessi a fare di meglio, a non accontentarsi. Per esempio, cercare di raggiungere un certo numero di libri letti nel corso dell’anno, oppure esplorare nuovi generi letterari.

Io parlo di chi è sempre lì col dito puntato, a correggere la virgola fuori posto, la preferenza per un romanzo commerciale, sentendosi superiore perché “Io ho letto Proust a 12 anni, ho scritto 27 libri, leggo in lingua originale e solo romanzi di un certo spessore.

Il secondo labirinto, invece, è dedicato alla natura approssimativa del mondo moderno, che non ha mai tempo di dedicarsi ad esperienze concrete e autentiche, ma trascorre le giornate sui social a guardare un reel dietro l’altro.

L’espediente qual è? Tagliare i libri, riassumerli, ridurli a qualche frase, così se ne possono leggere anche una decina al giorno. Si potrebbe far rientrare in questo filone anche quelli che usano l’IA per far riassumere il contenuto di un testo di saggistica o un classico, pur di non leggerlo tutto.

Io non ci credo che le persone non abbiano tempo, perché per le sciocchezze lo si trova sempre.

È altresì vero che in una società capitalista il pensiero dominante è quello di essere sempre produttivi e il tempo libero viene visto come un lusso, con sensi di colpa annessi perché si ha l’impressione di non fare qualcosa di utile.

Il terzo labirinto si collega alla stessa corrente di pensiero, perché i libri sono visti solo come prodotto che deve generare un guadagno; dunque, i libri che non vendono più o che non possono ritagliarsi una fetta di mercato, devono essere scartati.

Nel romanzo si parla di classici, ma io non sono d’accordo; difatti, nel mercato italiano rappresentano il terzo genere più letto in assoluto, subito dopo i romance e i gialli. Secondo me possiamo riferirci più agli autori esordienti, che le grandi case editrici non prendono nemmeno in considerazione, a meno che non si tratti di persone già di per sé famose o con i “giusti agganci”.

Nella storia compare poi un ultimo labirinto, una sorta di ulteriore critica sociale per la perdita del valore intrinseco del libro, che una volta era visto come punto di riferimento per elevare sé stessi e oggi, invece, ha fatto la stessa fine di un qualsiasi prodotto di consumo.

La guardiana afferma di essere un libro antico, che ha circa 1.800 anni, senza mai specificare quale sia realmente. Si sa solo che un tempo le persone la consideravano come punto di riferimento per i propri valori sociali.

Insomma, una favola giapponese che dietro ai cliché del genere nasconde un’aspira critica nei confronti dello stato attuale dell’editoria mondiale, spingendoci a riflettere sul significato che hanno assunto i libri al giorno d’oggi.

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