Recensione della raccolta di racconti La Casa della Luce di Yoko Ogawa, scoperta navigando nella community di Feltrinelli Fuori di Libri che, purtroppo, è stata chiusa nel dicembre 2024.

Si tratta di tre storie brevi con protagoniste molto diverse fra loro, ma legate da un senso di inquietudine dal quale il lettore fatica ad uscire, persino quando il racconto è terminato.

Vale la pena immergersi fra le pieghe sinistre dello stile di Ogawa?

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Titolo: La Casa della Luce (orig. Ninshin Karenda / Dormitori / Daibingu Puru)

Autore: Yoko Ogawa

Traduttore: Mimma de Petra

Editore: Il Saggiatore

Collana: Narrativa. I Tascabili

Genere: Narrativa contemporanea, Raccolta di racconti

Anno di Edizione: 2011

Pagine: 155 pp., Brossura

ISBN: 9788856502305

Voto: 📕📕📕📕/5

Trama La Casa della Luce di Yoko Ogawa

La Casa della Luce è una raccolta di soli tre racconti che vedono tre protagoniste molto diverse fra loro, alle prese con vicende che a prima vista potrebbero sembrare banali, per poi rivelarsi intrise di inquietudine e angoscia.

Nel primo una ragazza trascrive con meticolosità chirurgica i cambiamenti fisici e psicologici della sorella incinta, riportandoli su un diario personale.

Nel secondo una donna sente il cugino adolescente dopo tanti anni e lo aiuta a trovare una sistemazione in un vecchio dormitorio, dove aveva alloggiato anche lei ai tempi universitari. Il ragazzo, però, sembra latitare appena dopo esserci andato ad abitare.

L’ultimo racconto è incentrato su Aya, una ragazzina cresciuta in orfanotrofio, perché figlia dei proprietari, che si sente chiusa in una gabbia e sviluppa dei comportamenti disturbanti nei confronti degli altri orfani.

Parere Personale

Ho scoperto La Casa della Luce leggendo una recensione sulla community Fuori di Libri e mi aveva attirato per la trama insolita: tre racconti sconnessi fra loro, ma ognuno con elementi interessanti e originali.

Partiamo dal primo, che viene raccontato sotto forma di diario personale, scritto da una ragazza che vive insieme alla sorella e al cognato. I due hanno cercato per diverso tempo un figlio e finalmente lei rimane incinta, scegliendo di farsi seguire dalla Clinica M, più per motivi sentimentali che per la loro professionalità.

Le premesse sembrano idilliache e il lettore è subito portato a pensare che sarà un racconto carico di sentimenti positivi, il coronamento di un sogno che inevitabilmente porterà alla nascita di una nuova vita tanto attesa.

In realtà, pagina dopo pagina, quello che sembrava un motivo di gioia, si trasforma in una descrizione grottesca di un fenomeno che sembra quasi paranormale. La protagonista osserva i cambiamenti fisici e psicologici della sorella, come se stesse assistendo ad una mutazione inquietante, ma allo stesso tempo inevitabile.

Così, quelli che sembrano sintomi generici di uno stato interessante, ovvero sbalzi d’umore con pretese assurde, nausea perenne e aumento di peso, assumono caratteri sinistri, facendo pensare che stia per accadere qualcosa di negativo. Ci si chiede se effettivamente alla fine verrà partorito un bambino oppure uno xenomorfo…

Il secondo racconto inizia raccontando la vita monotona e annoiata di una casalinga, che attende il ritorno del marito in trasferta in Europa. L’unico elemento di disequilibrio è questo ronzio perenne che compare alle sue orecchie in modo del tutto casuale, di cui sappiamo solo che deriva dalla sua esperienza al dormitorio universitario.

Questo stesso luogo viene consigliato al cugino più giovane che necessita di una sistemazione a buon mercato, ma è chiaro fin da subito che qualcosa non torna: una struttura fatiscente, che cade a pezzi, nessun altro studente nei paraggi e un proprietario estremamente riservato, senza braccia e con una gamba artificiale.

Ad aumentare la tensione, c’è anche il comportamento del cugino che, una volta andato ad abitare nella struttura, trova sempre scuse per non farsi vedere, avvisando solo il proprietario del posto di essere impegnato.

Le antenne del lettore si drizzano, perché abbiamo già capito che forse quel ragazzo non tornerà mai. Anzi, e se non fosse mai esistito veramente?

L’ultima storia è quella che ho trovato più disturbante, soprattutto per i comportamenti della protagonista, una ragazzina insofferente per essere cresciuta in un orfanotrofio dal quale di fatto non potrà mai andarsene, perché è la figlia di chi lo gestisce.

I genitori fra l’altro, sembrano trattarla come tutti gli altri orfani: il padre sempre preso dalla meditazione, la madre logorroica fino all’inverosimile, come due opposti della stessa medaglia che la ragazza sceglie di rinnegare.

Ad illuminare le sue giornate, però, c’è il giovane Jun, per il quale ha sviluppato una vera e propria ossessione, soprattutto per quanto riguarda il suo corpo, che ama osservare in piscina quando si allena a nuoto. È chiaro che stiamo parlando delle prime turbe amorose, la scoperta del desiderio sessuale e dell’attrazione fisica, con tutte le incertezze che ne conseguono.

Tale sentimento diventa una forma di perversione quando la ragazza prova piacere nel fare del male ai bambini più piccoli, facendoli soffrire nei modi più disparati, semplicemente perché ama sentirli piangere, anche a costo di rischiare di farli morire.

Insomma, per quanto sia piccolo questo libricino, è un’esperienza carica di emozioni, perché ciascuna storia presenta un climax ascendente di ansia e di angoscia, che raggiunge il suo apice nel finale, ma poi si interrompe bruscamente.

La mia impressione, infatti, è stata quella di trovarsi di fronte a racconti con un finale aperto, lasciando libero spazio all’interpretazione, che di fatto aumenta ancora di più l’inquietudine: la sorella ha partorito un bambino sano? Il cugino è ancora vivo? Jun ricambierà l’amore nei confronti di una persona disturbata come Aya?

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